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L'impero germanico

Venuta meno la grande costruzione carolingia, un nuovo tentativo di unificazione politica della Cristianità occidentale, sotto forma di un impero indipendente da quello bizantino, si ha nel corso del X secolo, per iniziativa della dinastia dei duchi di Sassonia.

Il merito iniziale di questa ricomposizione è di Enrico I, che, eletto re dei Franchi Orientali nel 919, riesce a contrastare efficacemente le tendenze autonomistiche dei potentati a base regionale stabilendo per la monarchia, accanto al tradizionale criterio elettivo, una prassi tendenzialmente ereditaria. Alla sua morte può così trasmettere il titolo regio al figlio Ottone, che nel 936 si fa consacrare nella "carolingia" Aquisgrana con una solennità senza precedenti.

Dotato di buona lucidità politica e al tempo stesso valoroso condottiero, Ottone doma subito con grande energia le rivolte dei duchi di Baviera, di Franconia e di Lorena, amplia il patrimonio diretto della Corona, ma soprattutto, cercando un contrappeso alla potenza dei signori laici, utilizza gli ecclesiastici come strumenti di governo del suo regno. Nel 961, ormai sicuro della coesione interna e forte del prestigio che gli deriva dalle vittorie riportate sugli Slavi e sugli Ungari, Ottone decide di attuare il suo progetto di restaurazione imperiale. Sceso in Italia, dove il potere regio è continuamente messo in discussione dai maggiori dinasti ed il papa fortemente condizionato dai capricci dell'aristocrazia romana, depone il re Berengario I del Friuli; quindi, sulla base di un accordo che gli assicura il diritto di controllo sull'elezione papale e la tutela della Chiesa germanica in cambio del riconoscimento ai pontefici delle donazioni longobarde e franche (il Patrimonio di San Pietro), viene incoronato imperatore da Benedetto XII (962).

Ma il potere di Ottone I, come quello dei suoi successori Ottone II (973-983) e Ottone III (983-1002), che sul modello imperiale romano aspira ad imporsi universalmente, è più teorico e simbolico che reale, non solo perché risulta di fatto limitato alla Germania e all'Italia  settentrionale, ma anche perché, in questo medesimo spazio, deve scontrarsi con la non sopita volontà di autonomia dei grandi principati territoriali. L'Impero come entità romano-germanica è comunque destinato a sopravvivere a lungo e addirittura ad ampliarsi, come avviene nel 1033, quando Corrado II si annette il regno di Borgogna. E questo a dispetto dei mutamenti di dinastia (dal 1024 i regnanti sono della casa di Franconia, dal 1138 di quella di Svevia), delle continue difficoltà nel rapporto con i vari livelli della feudalità laica ed ecclesiastica interna, del durissimo conflitto che, sotto il nome di "lotta delle investiture", oppone l'imperatore al papa tra XI e XII secolo.

Particolarmente aspro fu il contrasto tra Enrico IV e papa Gregorio VII, che aveva vietato agli ecclesiastici di ricevere l’investitura dall’imperatore. Enrico convocò il sinodo di Worms che dichiarò decaduto il pontefice, il quale scomunicò l’imperatore, favorendo le ribellioni dei feudatari, sciolti dal giuramento di fedeltà. Enrico IV si recò a Canossa presso la marchesa Matilde (ultima discendente della potente famiglia degli Ottoni, che tra il X e l’inizio del XII secolo dominò sulla Toscana e su gran parte dell’Emilia), ad implorare il perdono di Gregorio, che ritirò la scomunica:

Due grandi personalità, entrambe appartenenti alla casata degli Hoenstaufen, segnano la storia successiva dell'Impero. Federico I Barbarossa, che regna dal 1152 al 1190, cerca di riaffermare la piena sovranità dell'imperatore sui suoi dominii: in Germania si batte accanitamente contro i principi ribelli, riuscendo ad esiliare il pericoloso Enrico il Leone; in Italia, a conclusione di una lunga lotta con papa Alessandro III e le città lombarde, economicamente dinamiche e decise a rafforzare le proprie istituzioni comunali, deve accettare, nel 1183, il compromesso sancito dalla Pace di Costanza, in base al quale i Comuni ottengono il diritto all'autogoverno e ad un esercito proprio, riconoscendosi in cambio vassalli dell'imperatore, cui si impegnano a pagare un tributo e a sottoporre la nomina dei magistrati urbani. Federico II, erede del regno normanno di Sicilia e imperatore dal 1220 con l'appoggio di papa Innocenzo III, dedica la gran parte delle sue energie al dominio meridionale, dove impianta una corte cosmopolita e costruisce un modello di stato accentratore; commette però l'errore di tornare a confrontarsi, come il suo avo, con i Comuni del Centro-Nord ed il Papato, in uno scenario reso più complesso dalle divisioni, spesso interne alle stesse città italiane, fra guelfi e ghibellini.

Dopo la sua morte, avvenuta nel 1250, non solo la dignità imperiale resta a lungo vacante e lo scacchiere italiano sostanzialmente libero dalla tutela dell'Impero, ma la stessa capacità della monarchia di controllare la Germania si riduce, con immediato vantaggio dei grandi principati tedeschi e delle attive città renane e baltiche. In questo quadro nascono nuovi agglomerati territoriali, come quello degli Asburgo, dal quale si distacca nel 1291 il primo nucleo della futura Svizzera.

All'inizio del Trecento Enrico VII di Lussemburgo (1308-1313) e Ludovico il Bavaro (1314-1347) tornano a scendere in Italia per l'incoronazione, col proposito di rilanciare l'idea imperiale, ma questi tentativi non servono a ridare sostanza ad un'istituzione al tramonto. Nell'epoca del consolidamento degli stati nazionali anche l'imperatore finirà per diventare solo un monarca tedesco, che la Bolla d'Oro di Carlo IV (1356) renderà elettivo.

Bibliografia

R. Manselli, L'Europa medioevale, Torino, Utet, 1979, vol. I, pp. 423-618; vol. II, pp. 665-741 e 801-885

F. Cardini, Il Barbarossa. Vita, trionfi e illusioni di Federico I Imperatore, Milano, Mondadori, 1985

G. Tabacco, L'Impero romano-germanico e la sua crisi (secoli X-XIV), in La Storia. I grandi problemi dal Medioevo all'Età Contemporanea, vol. II, Il Medioevo, Torino, Utet, 1986-1988, tomo 2, pp. 307-338