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L'Europa di Carlo Magno

Tra la fine dell'VIII e l'inizio del IX secolo il processo di formazione dell'Europa conosce uno dei suoi momenti più significativi: la ricostituzione dell'unità occidentale su un territorio di oltre un milione di chilometri quadrati compreso fra il mare del Nord e il Tirreno, fra i Pirenei e Vienna. È l'impero di Carlo Magno, che trova la sua sanzione ufficiale, carica di valori simbolici, nell'incoronazione papale del re franco avvenuta a Roma la notte di Natale dell'800, ma che è concretamente il frutto di quasi tre decenni di guerre nelle quali Carlo ha strappato, con ferocia pari alla sua determinazione, territori ai Longobardi, ai Sassoni, agli Avari, agli Slavi. Il papato lo ha assecondato; vescovi e monaci lo hanno accompagnato con l'obiettivo di fondare nuove diocesi e monasteri, attuando quella cristianizzazione forzata che il Medioevo praticherà a lungo; i grandi proprietari delle regioni via via sottomesse lo hanno sostenuto sperando di rinsaldare il proprio potere sui contadini.

Il Sacro Romano Impero, come è stato anche chiamato, non ha in realtà molti punti di contatto con quello edificato dai Romani dieci secoli prima: è un dominio continentale, gravitante sulla residenza di Aquisgrana, con un'impronta fortemente rurale, laddove Roma aveva signoreggiato il Mediterraneo e costruito una rete di rapporti economici basata sulle città. Carlo Magno, la cui volontà e capacità di decisione è senz'altro fuori del comune, si sforza di governare efficacemente questo vasto e poco omogeneo spazio, suddividendolo in province (marche e comitati), creando figure di funzionari stabili, potenziando l'apparato legislativo, incoraggiando l'uso della scrittura.

Eppure, secondo l'antica tradizione franca, non si preoccupa di assicurarne l'unità dopo la sua morte, che si mantiene casualmente, perché solo uno dei suoi figli, Ludovico il Pio, sopravvive. Ma la storia non si ripete e i figli di quest'ultimo, che regna dall'814 all'840, gli si rivoltano contro, poi combattono fra loro, infine, nell'843, si spartiscono l'impero: Ludovico riceve i territori a est, diventa Ludovico il Germanico; Carlo, detto il Calvo, le regioni a ovest; Lotario, che mantiene il titolo di imperatore, un lungo corridoio intermedio che va dal mare del Nord a Roma. E' una divisione che sembra spezzare tutte le frontiere etniche e naturali, ma che risponde principalmente allo scopo di assicurare a ciascuno dei tre contendenti un pezzo di ognuna delle strisce vegetali ed economiche orizzontali che formano l'Europa.

Altre divisioni ereditarie seguiranno nell'870, con il Trattato di Mersen, e nell'880, con quello di Ribemont. Subito dopo, per pochi anni, l'unità dell'impero si ricostituisce sotto Carlo il Grosso, ma dopo la sua morte essa si spezza definitivamente e il frazionamento che segue è molto più accentuato di quanto non appaia dalle carte. A determinarlo, infatti, non è tanto la nascita dei regni minori, quanto lo sviluppo, all'interno e al di sopra di essi, di una miriade di principati e signorie fondati sui grandi patrimoni terrieri laici ed ecclesiastici.

Si tratta di un processo che ha radici nella stessa politica seguita da Carlo Magno, il quale, per consolidare il suo stato, moltiplica i doni in terre (i benefici) ai personaggi dei quali vuole assicurarsi la fedeltà, obbligandoli a prestargli giuramento e divenire suoi vassalli e incoraggiandoli ad applicare lo stesso schema con i loro sudditi. Questa rete di legami "clientelari", però, finisce col sortire il risultato opposto. Nel caso di funzionari come conti e marchesi la concessione di un beneficio tende già nel corso del IX secolo ad essere assimilata all'assegnazione di un distretto da governare, così che, di fatto, ad essere alienate dall'autorità imperiale risultano non solo terre, bensì quote degli stessi poteri pubblici. Tale evoluzione spontanea viene assecondata da provvedimenti come quello contenuto nel capitolare di Quierzy dell'877, con il quale l'imperatore Carlo il Calvo detta ai vassalli regi le norme di trasmissione dei loro benefici ammettendone l'ereditarietà.

Nei decenni successivi la minaccia delle invasioni dei "nuovi" barbari - Normanni, Saraceni ed Ungari - agisce da acceleratore, spingendo i più deboli a mettersi sotto la protezione dei potenti, i re a moltiplicare i benefici in cambio dell'aiuto militare dei propri vassalli, questi ultimi a rendere più solidi e autonomi i loro dominii con la creazione di strutture fortificate. È la testimonianza dell'incapacità dell'autorità pubblica di difendere il territorio e al tempo stesso il riconoscimento a quanti hanno mezzi economici - conti, vescovi, abati e grandi proprietari laici - di funzioni e prerogative un tempo appartenute al sovrano.

Bibliografia

G. Barraclough, Il crogiolo dell'Europa. Da Carlo Magno all'anno Mille, trad. it., Roma-Bari, Laterza, 1978

J. Boussard, La civiltà carolingia, trad. it., Milano, Il Saggiatore, 1968

G. Sergi, L'Europa carolingia e la sua dissoluzione, in La Storia. I grandi problemi dal Medioevo all'Età Contemporanea, vol. II, Il Medioevo, Torino, Utet, 1986-1988, tomo 2, pp. 231-262