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Rivoluzioni e guerre d’indipendenza in Asia

L'immenso continente asiatico ha compiuto una evoluzione storica di portata eccezionale. Ancora un secolo e mezzo fa chiusa in se stessa, l’Asia ha oggi una centralità nuova. Questo non è conseguenza di un processo storico organico e lineare, ma delle diverse vie di sviluppo politico che hanno caratterizzato le varie aree del continente e anche del definitivo tramonto del colonialismo inglese francese, olandese.

In Giappone, uscito dalla prima guerra mondiale come una potenza vincitrice e con un apparato industriale ed una forza militare di tutto rispetto, la corte imperiale, i militari e la burocrazia, nonché le grandi concentrazioni monopolistiche industriali dopo il 1929 ripresero la via dell'espansione imperialistica (a cominciare con l’occupazione della Manciuria) e del regime militare all'interno, dando vita ad un'originale forma di fascismo, presto alleatosi con Berlino e Roma. Nonostante l'eccezionale espansione durante la guerra, le bombe di Hiroshima e Nagasaki posero fine, nel 1945, all’imperialismo giapponese.

Anche in India l'esperienza della prima guerra mondiale aveva coinciso con una forte accelerazione dei fermenti interni. Contro la politica inglese, che faceva leva sulle divisioni etniche e religiose della colonia, forte fu la risposta delle forze nazionaliste autoctone, organizzate nel Partito del Congresso e nella Lega Musulmana. Già nel 1920 Gandhi aveva deciso la non cooperazione con gli Inglesi. Il suo movimento di opposizione, di resistenza passiva e non violenta assunse posizioni così forti che nel secondo dopoguerra gli Inglesi furono costretti ad abbandonare il subcontinente. L'India era finalmente libera e indipendente, anche se questo fu pagato con la divisione della regione in due stati l’Unione Indiana, a maggioranza Indù, e il Pakistan, musulmano, a sua volta diviso in due parti distanti tra loro circa 1500 chilometri. L'assassinio di Gandhi nel 1948 fu l’altro prezzo pagato per l’indipendenza.

Pur non sottovalutando l'importanza della via giapponese e indiana, mondiale fu il rilievo della rivoluzione comunista della Cina.

La prima repubblica cinese fondata nel 1912 a Nanchino non era infatti riuscita a ristabilire il controllo sul territorio dell'impero, in buona parte lasciato prima all'anarchia dei signori della guerra e poi esposto all'invasione giapponese. Lo stesso governo nazionalista di Canton del 1921 non trovò una sua unità, aprendo le porte alla guerra civile fra i settori più conservatori del partito del Guomindang di Chiang Kai Scek e il nascente partito comunista. Il conflitto si spostò così verso le campagne alle quali Mao Zedong, anche in contrasto con i suggerimenti sovietici, rivolgeva grande attenzione. E fu proprio dalle campagne che Mao mosse per la sua leggendaria Lunga Marcia, contro i giapponesi e contro i nazionalisti di Chian Kai Scek. Nel 1949 a Pechino veniva proclamata la Repubblica Popolare mentre i nazionalisti si rifugiavano nell’isola di Taipei (Formosa). Con quest'atto il campo socialista si ampliava enormemente. La Cina popolare guadagnò presto un ruolo ed un peso fondamentale nella politica internazionale.

Lo si vide al tempo della guerra di Corea e più tardi durante la guerra del Vietnam. In campo interno il cammino percorso dalla Cina popolare in pochi decenni è stato rilevante. Appoggiata nel primo quindicennio dall'Unione Sovietica, ma sempre attenta a basarsi il più possibile sulle sole sue forze interne, la Cina ha attraversato varie fasi. La collettivizzazione dell'agricoltura, il (fallito) "balzo in avanti" industriale, la (fallita) rivoluzione culturale hanno contrassegnato altrettante tappe controverse della ricerca di una via autonoma. Importante fu all'inizio degli anni Settanta anche il riavvicinamento, in funzione antisovietica, agli USA. Ma per la Cina le novità riformatrici maggiori sono venute dopo la morte di Mao Zedong (1976), con l'ascesa di Deng Xiaoping e di una nuova generazione di dirigenti intenti a decollettivizzare e privatizzare ampi settori dell'economia, anche se ancora tutt'altro che favorevoli ad accogliere le richieste di democratizzazione avanzate da giovani ed intellettuali.

L'India di Nehru, successore di Gandhi, che come la Cina è stata protagonista negli ani ‘50 (insieme con l’Indonesia, la Jugoslavia e l’Egitto) del movimento dei non-allineati, ha conosciuto ampie riforme sociali, culturali ed economiche (basate su una pianificazione pluriennale). Anche l'India ha dovuto affrontare grossi problemi in politica estera (dissidi con la Cina per il Tibet, rivalità con il Pakistan), ma soprattutto ha scontato la complessità del tessuto etnico e religioso interno. Per questi motivi ha più volte messo a repentaglio il processo di sviluppo e di democratizzazione nato con l'indipendenza. Le difficoltà furono evidenti al tempo dei successori di Nehru, prima la figlia Indira e poi il figlio di Indira Rajiv Gandhi: la loro opera e la loro fine (entrambi assassinati nonostante non avessero esitato a ricorrere a leggi di emergenza e a regimi autoritari) simboleggiano le grandi potenzialità e al tempo stesso le grandi difficoltà dell'India contemporanea.

Tutt'affatto diversa, a conferma dell'estrema articolazione del panorama asiatico, è la via seguita dal Giappone. Uscito dalla seconda guerra mondiale con una pace punitiva, e in regime di occupazione statunitense e con l’obbligo di una smilitarizzazione integrale, anche sfruttando sin dal tempo della Guerra Fredda una rendita di posizione nella logica antisovietica ed anticinese degli Stati Uniti, il Giappone ha fortemente modernizzato il proprio sistema economico. Sfruttando arretratezza e progresso, agevolato dalle condizioni favorevoli all’offerta di vasta manodopera interna, lo sviluppo economico giapponese soprattutto tecnologico è cresciuto sistematicamente, facendo delle potenzialità del Giappone contemporaneo l'altro polo (con gli Usa e l'Europa) dello sviluppo mondiale.

Bibliografia

Jan Romein, Il secolo dell'Asia. Imperialismo occidentale e rivoluzione asiatica nel secolo XX, Torino, Einaudi,1969