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La formazione degli Stati Uniti e l'America Latina

Le 13 colonie inglesi del Nord America sorte a poco a poco nel corso del XVII secolo costituivano, a metà Settecento, una realtà assai complessa ed eterogenea. La popolazione era ormai cospicua: se agli inizi del XVIII secolo raggiungeva appena le 250.000 unità, alla fine del 1700 assommava a circa 5 milioni di abitanti ed era formata non solo da Inglesi ma dai neo-immigrati Tedeschi, Olandesi, Scozzesi e Irlandesi. Tale crescita demografica fu accompagnata da un espansionismo verso le regioni del Mississippi. Ciascuna delle 13 colonie era guidata da un governatore di nomina regia e da un parlamento eletto - per censo - dalle popolazioni locali, ma nessun rappresentante delle colonie sedeva nel parlamento inglese. D'altra parte, secondo i precetti di un rigido mercantilismo, l'Inghilterra si riteneva l'unica nazione legittimata ad avere scambi commerciali con i suoi possedimenti d'oltreoceano. Col passare degli anni le differenziazioni economiche e sociali erano divenute comunque profonde. Le colonie del Nord (New England) erano abitate da commercianti, pescatori, piccoli imprenditori soprattutto nelle città costiere, ed erano assai omogenee dal punto di vista religioso (puritani). Nelle regioni del centro erano dominanti l'agricoltura e il commercio mentre nelle colonie del Sud (Georgia, Carolina del Sud e del Nord, Virginia) la ricchezza era data dalle coltivazioni di tabacco, cotone e riso. Nonostante che per lungo tempo il contrabbando con le isole caraibiche e le tasse, inferiori in America che non in Inghilterra, avessero assicurato alla politica coloniale inglese un certo successo, venne rapidamente il tempo di un mutamento di clima politico. Subito dopo la guerra dei Sette anni, infatti, la pressione fiscale fu inasprita e l'espansione verso Ovest, per non creare tensioni e guerre con gli "Indiani", fu frenata. Tra i coloni crebbe però rapidamente il malcontento: una tassa sul tè, in particolare, colpì Boston facendo nascere gravi disordini. Dopo questo episodio in Inghilterra i fautori della linea dura ebbero la meglio nel chiedere un intervento militare vòlto a restaurare l'ordine nelle colonie e fu posto addirittura un embargo totale sulle merci americane; d'altro canto, in America la propaganda anti-inglese, sostenuta dalle élite politico-culturali locali, divenne martellante. A partire dal primo Congresso Continentale delle Colonie, vennero costituite delle milizie armate, preludio allo scontro imminente che iniziò effettivamente il 19 aprile del 1775 a Lexington. Il comando delle forze fu affidato a George Washington, abile nella mediazione delle differenti componenti del neo costituito esercito americano. Una dopo l'altra, tutte le colonie si dichiararono indipendenti. Il 4 luglio 1776 il Congresso di Filadelfia approvò la "dichiarazione di indipendenza" stilata da Thomas Jefferson, con la quale si proclamava la nascita della Confederazione degli Stati Uniti d'America. L'esercito inglese cercò di occupare New York, Filadelfia e il New Jersey ma trovò, tenacissima, la resistenza dei combattenti locali. Fu allora che la Francia (seguita poi da Spagna, 1779 e Olanda, 1780) decise di scendere in guerra contro l'Inghilterra, impegnandola un po' ovunque in svariate operazioni belliche. Dopo che gli americani ebbero vinto, nel 1781, nella battaglia di Yorktown, l'Inghilterra decise di avviare le trattative di pace. Sei anni più tardi una "convenzione" di 55 saggi, presieduti da George Washington, redasse la nuova Costituzione degli Stati Uniti che fu approvata definitivamente nel 1788, mentre Washington divenne il primo presidente degli Usa. Nel primo governo americano Alexander Hamilton (che era stato il leader dei federalisti in seno alla Convenzione Costituente) ebbe l'incarico di gestire le finanze. Con i suoi provvedimenti egli favorì il commercio e l'industria, allestì una banca centrale e si preoccupò costantemente di difendere il valore del dollaro. All'opposto, in una dialettica che si presenterà a lungo nella politica statunitense, Thomas Jefferson (che ebbe l'incarico di ministro degli esteri) fu l'interprete del sogno americano dei piccoli coltivatori indipendenti, liberi, moralmente integerrimi che fondavano le loro fortune sul lavoro e sull'assistenza di Dio.

Le imprese americane ebbero immediata e vasta eco in Europa e forti ripercussioni nell'America del Sud. Anche nel variegato mondo latino americano, infatti, la lotta per l'indipendenza (guidata da Simon Bolivar, José de San Martin e Augustin de Iturbide) portò, nel volgere breve di un quindicennio, il Venezuela e il Paraguay e, poi, il Cile, il Perù, la Colombia e l'Equador allo sganciamento definitivo dalla Spagna e dalla sua politica miope, che aveva riservato tutto il potere decisionale e politico ai funzionari inviati dalla madrepatria, lasciando i creoli (che pure erano i discendenti degli antichi colonizzatori) fuori da ogni sfera di comando. Fu infatti la spinta della borghesia creola che creò le condizioni favorevoli alla rivolta, e fu ancora questa classe sociale ad essere avvantaggiata dei risultati politici raggiunti, giacché le masse degli indios non videro migliorate le loro condizioni di vita. Uscito dalla sfera di dominazione spagnola e portoghese, il continente latino-americano entrò però ben presto nella sfera di influenza statunitense e divenne territorio di conquista per le grandi potenze industriali mondiali.

Bibliografia

G. Spini, Autobiografia della giovane America, Torino, 1968

L. Valtz Mannucci, Le radici ideologiche degli Stati Uniti, Lecce, 1981

G. Beyhaut, America centrale e meridionale dall'Indipendenza agli stati attuali, Milano, 1968