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Roma imperiale

Con la vittoria di Ottaviano ad Azio, si può considerare concluso per Roma un lungo periodo di guerre civili, crisi istituzionali e sociali, che portarono alla fine del sistema di governo repubblicano. Ottaviano, rimasto l’unico signore di Roma, dovette risolvere il problema di legittimare un potere che già deteneva di fatto, senza suscitare la reazione delle forze conservatrici repubblicane. Non essendo possibile una palese trasformazione istituzionale in senso autocratico, il capolavoro di Ottaviano, che prese il titolo di Augusto, fu di propagandare la piena restaurazione della repubblica, riuscendo però ad ottenere una auctoritas, cioè un prestigio politico riconosciuto da tutti, che gli permise di condizionare le scelte di governo, pur agendo dall'esterno delle istituzioni. Egli gettò le fondamenta del nuovo modello di governo, il principato. La struttura intorno alla quale Augusto costruì il suo potere, legata alla sua persona, poneva il problema della successione. Orientatosi per una scelta dinastica, fu Tiberio a succedergli. Il governo di Tiberio, diviso tra un periodo di accordo con il senato e uno di conflitto, può fare da emblema al problema politico fondamentale del principato post-augusteo: la conservazione del precario equilibrio fra gli interessi e il potere del principe e quelli della classe senatoria. Questo scontro segnò i primi due secoli della storia imperiale: quando gli imperatori indirizzarono la loro politica rimanendo nel corso indicato da Augusto, governarono senza problemi; quando invece tentarono di dare al proprio potere forme monarchiche assolutistiche, come fecero Caligola e Nerone, furono annientati, sia politicamente che fisicamente. La suddivisione stessa, fatta dalla storiografia senatoria, degli imperatori in "buoni" e "cattivi" riflette un giudizio dato in base al tipo di atteggiamento politico tenuto nei confronti dell'aristocrazia senatoria. Con la morte di Nerone e la fine della dinastia giulio-claudia, dopo un anno di guerre civili tra i pretendenti al ruolo di principe (69 d.C.), il potere passò nelle mani di Flavio Vespasiano. La dinastia Flavia (Vespasiano e i figli Tito e Domiziano) resse l'impero fino al 96; fu un periodo caratterizzato, complessivamente, sul piano sociale ed economico, da due fenomeni: l'ascesa dei ceti medi e la crescente importanza delle province rispetto all'Italia. Con Nerva iniziò il cosiddetto periodo dei principi per adozione: ogni imperatore prima della morte adottava l'erede designato, scelto in base ai suoi meriti e qualità. Era un sistema (che funzionò fino al 180 d.C. grazie al fatto che gli imperatori non ebbero figli legittimi a cui lasciare l'impero) che da una parte salvaguardava il principio della scelta del migliore, caro al senato, dall'altra rispettava il concetto della successione dinastica, ben accetta al popolo e ai sudditi orientali. Nerva adottò Traiano, con cui l'impero, che fino ad allora aveva visto ulteriori conquiste, toccò la sua massima espansione territoriale, ma i punti nevralgici restavano il confine germanico e quello partico. I regni di Adriano e Antonino Pio furono il vero apogeo dell'impero di Roma, periodo di sostanziale pace interna ed esterna, di equilibrio tra le forze politiche e di crescita economica, soprattutto nelle province. Il quadro mutò già con Marco Aurelio il cui regno fu scosso dalla prima grande invasione di popolazioni germaniche, che, superato il Danubio, giunsero fino in Italia, dove furono respinte a stento; a ciò si aggiunse una grave epidemia. La guerra e la pestilenza determinarono una grave crisi economica. Ciò portò da una parte a lotte sociali e all'instabilità politica, dall'altra alla ricerca di sicurezza nelle ideologie e nelle religioni alternative (ebraismo, cristianesimo, e culti salvifici e misterici di origine orientale). Dopo l'uccisione di Commodo (192) e la conseguente lotta per il potere, divenne imperatore Settimio Severo. Nonostante i Severi operassero scelte di governo necessarie, la crisi continuò ad acuirsi. La pressione barbarica sul confine reno-danubiano rendeva necessario disporre di un esercito in grado di fronteggiare tale minaccia e i Severi dovettero concedere benefici economici ai soldati, divenuti la terza forza politica dell'impero, coloro che acclamavano gli imperatori o li facevano cadere. Le casse imperiali, per finanziare queste largizioni, ricorsero ad una più severa pressione fiscale che, in un periodo di regressione della produzione agricola, contribuì ad aggravare la situazione economica, a segnare la fine della piccola proprietà terriera, a fare crescere l'inflazione. Il III secolo fu dunque segnato da una grave crisi economica e sociale, e la politica si ridusse ad uno scontro tra senato, esercito e principe. Per circa 50 anni gli imperatori si succedettero ad un ritmo vertiginoso, nominati o destituiti per lo più dalle diverse legioni stanziate nelle varie zone dell'impero o dal senato, che tentava di riprendere il controllo della successione imperiale. Verso la metà del secolo, ad opera di una tendenza centrifuga, si ebbe la nascita di due stati resisi autonomi da Roma, l’imperium Galliarum e il regno di Palmira, mentre continuava sul confine orientale il problema dei Parti, su quello africano la spinta dei nomadi, e sul limes germanico la pressione barbarica. Per risolvere questa difficile situazione occorrevano radicali riforme, ma ciò poteva avvenire solo se la direzione dello stato avesse riacquistato autorità e potere. Alcuni imperatori, come Gallieno e Aureliano (che riconquistò i regni separatisti), avevano già agito in questo senso, ma la vera riforma si ebbe con Diocleziano e poi con Costantino. La tetrarchia di Diocleziano, e poi le riforme di Costantino miravano a conciliare l'esigenza di una forte autorità centrale con la necessità di procedere ad un decentramento del potere. L'impero tardoantico, nato dopo queste riforme, è qualcosa di molto diverso dal principato augusteo: l'imperatore è diventato un monarca assoluto, al vertice di un complesso apparato amministrativo e burocratico. Suddividendo l'impero in 4 grandi prefetture, a loro volta divise in 12 diocesi e in numerose province, si realizzò il decentramento amministrativo, mentre il governo centrale, attraverso complesse strutture ministeriali, controllava gli affari generali dello stato. Con una politica sociale ed economica legata al dirigismo statale e una riforma fiscale e monetaria, si superarono in parte gli effetti della crisi economica del III secolo. Il fulcro dell'impero si spostò in maniera definitiva da Roma e l'Italia verso oriente, poiché le province orientali, dal punto di vista economico-politico erano in una posizione trainante rispetto all'occidente. Costantino trasferì la capitale da Roma a Bisanzio, ribattezzata Costantinopoli. Affrontò anche, rovesciando la politica religiosa dell'impero, la questione del cristianesimo, religione che, nonostante le persecuzioni di alcuni imperatori, si era diffusa sempre più a tutti i livelli sociali. Con l'editto di Milano (313 d.C.) Costantino si assicurò l'appoggio della forza organizzativa ed economica delle chiese cristiane. La Chiesa, attraverso le sedi episcopali e l'azione di vescovi dalla grande personalità, divenne sempre più un punto di riferimento, soprattutto politico, supplendo alle carenze delle istituzioni statali. Queste riforme ovviamente non risolsero i problemi dell'impero, come quello sempre ricorrente dei barbari, ormai stanziati anche all'interno dei confini romani e inseriti nell'esercito e nei quadri amministrativi. Questo ed altri problemi, tra cui la difficoltà nel gestire un apparato burocratico enorme e complesso, finirono per portare, alla morte di Teodosio, alla suddivisione definitiva dell'impero in due parti, autonome politicamente ed economicamente. Per l'Oriente iniziava una fase storica che sarebbe durata ancora mille anni, per l'impero d'Occidente, invece, fu una sorta di agonia, che terminò ufficialmente dopo alcuni decenni (476 d.C.) quando i capi germanici, ormai padroni dell'impero, interruppero l'inutile successione di imperatori senza potere, e i cosiddetti regni romano-barbarici si sostituirono all'antico stato di Roma.

Bibliografia

Data la sconfinata bibliografia esistente su Roma, si rimanda a AA.VV., Storia di Roma, Einaudi 1988, dove, oltre ai più recenti orientamenti della critica storica è possibile trovare una vasta indicazione bibliografica.