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Le dinastie cinesi dei Ming e dei Manciù

Verso la metà del 1300, nella Cina malamente governata dai Mongoli della dinastia Yuan, si determinò una situazione di grave instabilità politica. Tutto il tessuto produttivo subì un rapido processo di disgregazione e la popolazione, soprattutto quella delle campagne si ridusse grandemente. Focolai di ribellione scoppiarono in diverse zone del paese finché, in un clima di torbidi crescenti, un monaco buddista riuscì ad assumere il potere dando vita alla dinastia Ming che governò il paese dal 1368 al 1644. I primi imperatori Ming, si impegnarono con notevole successo, sia nel tentativo di dare ai loro vasti dominii dei confini sicuri (riducendo il potere mongolo verso Nord, assoggettando la Corea e occupando l'Annam), sia cercando di riordinare amministrativamente l'Impero. In primo luogo essi cercarono di rivitalizzare l'economia intervenendo soprattutto in favore dell'agricoltura e agevolando lo sviluppo di una piccola e media classe di proprietari terrieri. Si trattava in parte di misure che ricompensavano tutte quelle classi più povere che avevano appoggiato le rivolte contro i Mongoli. Furono introdotte nuove qualità di riso che davano rese maggiori e, oltre alla coltura del cotone, ebbe allora notevole diffusione quella del sorgo e, successivamente, introdotte dai mercanti europei (spagnoli e portoghesi) quella della patata, del mais e del tabacco. Nonostante la relativa scarsa attenzione data ai commerci, le esportazioni di tè e di prodotti serici verso l'occidente fecero affluire nel paese notevoli quantitativi di ricchezza. Tuttavia artigiani e commercianti continuarono ad essere sottoposti ad una forte pressione fiscale che non favorì, a lungo andare, gli investimenti produttivi, dirottando le risorse finanziarie nell'acquisto di terre. Furono proprio i latifondisti, d'altra parte, a costituire il nerbo della struttura di potere Ming e sempre più vasti territori divennero appannaggio dei funzionari e dei più alti burocrati dell'Impero. Al tempo stesso le masse contadine perdurarono in una condizione di grave miseria e quando, agli inizi del 1600, fu esaurita la spinta all'espansione territoriale, esplosero, alimentate dal diffuso malcontento, grandi rivolte tra le popolazioni delle campagne. D'altra parte, alla fine del XVI secolo, in conseguenza della sua ritrovata unità politica, il Giappone si impose come potenza militare fortemente aggressiva, in special modo verso le regioni coreane. Le rinate difficoltà in politica estera e sul fronte militare, una crescente corruzione tra i funzionari di corte, contribuirono ad una progressiva perdita di prestigio dei dinasti Ming e ad un generale indebolimento del loro potere. Scontri di fazioni ed intrighi caratterizzarono l'ultimo periodo della loro dinastia, che si concluse nel 1627. Il comando passò per un certo tempo nelle mani dei capi delle milizie, finché la famiglia Qing, originaria della Manciuria, riuscì, nel 1644, ad avere la meglio su tutti i contendenti. I mancesi riuscirono ad imporre il loro dominio politico soprattutto grazie ad una eccellente organizzazione burocratico-amministrativa, attraverso una oculata politica commerciale ma anche mantenendo larghi settori della popolazione in uno stato di totale subalternità e di miseria anche culturale. Tuttavia, se fino al XVII secolo la popolazione della Cina era stata periodicamente decimata da carestie ed epidemie, ora le migliorate condizioni di vita e di sicurezza favorirono un suo rapido incremento e, fino al 1722, anno della scomparsa del grande imperatore Kangxi, la Cina attraversò un periodo di discreta prosperità, di stabilità interna.

Bibliografia

R. Étiemble, Conosciamo la Cina?, Milano, Il Saggiatore, 1972

Ch. P. Fitzgerald, La civiltà cinese, Torino, Einaudi, 1974

J. Gernet, Il mondo cinese. Dalle prime civiltà alla Republica popolare, Torino, Einaudi, 1978

J. Needham, Scienza e civiltà in Cina, Torino, Einaudi, 1981

M. Sabattini, P. Santangelo, Storia della Cina, Bari, Laterza, 1986