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La poesia religioso-didattica del Nord Italia

La ricca produzione letteraria fiorita durante il Duecento nel Nord Italia, da Genova a Venezia, tutta al di fuori di un koiné linguistica come quella che si stabilì presto in Toscana e quindi legata alle parlate delle varie località, dimostra la possibilità di un diverso sviluppo della nostra letteratura se i grandi fiorentini del Trecento non avessero imposto la loro prestigiosa autorità, decidendo per sempre lingua e stile della scrittura artistica in Italia. La letteratura "lombarda" presto si inabissò e scomparve, anche nella tradizione manoscritta, tanto che le opere rimasteci si sono conservate spesso fortunosamente in un unico codice, ricomparendo alla lue soltanto grazie alla ricerca erudita di fine Ottocento.

Si tratta di una poesia di carattere religioso, anche se lontanissima da ogni possibile riferimento a quella umbra, dal momento che qui non si tratta tanto della manifestazione lirica dell'amore per Dio quanto della volontà di ammaestramento morale da impartire, attraverso esempi de ammonizioni, ad un pubblico di fedeli. La preoccupazione di questa poesia è, insomma, moralistico-didattica e ciò spiega la sua natura "prosastica", con la tipica scelta del metro classico della narrativa in versi, la lassa monorima (per lo più quartine di alessandrini e novenari) dei poemi cavallereschi.

Questi poeti sono dei raccontatori di fatti biblici e di esempi di virtù e di peccato per un pubblico abituato a sentire le storie dei giullari, diffusissime in tutto il Nord Italia: da qui il linguaggio per lo più semplice, la grande evidenza e concretezza dei fatti raccontati, la sintassi paratattica, a frasi brevi e staccate.

Di qui anche la precocità dei primi esemplari di questa poesia, che ricorre al volgare per necessità di farsi capire dal pubblico cui è diretta: addirittura al 1150-1160, stando ai fatti storici a cui si fa riferimento nei versi, risalirebbero i Proverbi di un anonimo autore di area veneta, libello che riprende la diffusa tematica medievale di invettiva contro le donne, considerate fonti di ogni male, capaci di ogni tranello, pronte, come il ragno, ad avvolgere l'uomo nelle loro ragnatele inestricabili.

Anche Girardo Patecchio , cremonese, è poeta molto arcaico e le sue opere, sebbene non disponiamo di notizie sicure, vengono fatte risalire ai primi decenni del secolo XIII: si tratta del Liber de Taediis (o Noie), che i rifà al genere provenzale delle enuegs - genere contrapposto al plazer - adattato alla morale cristiana, con l'elenco dei vizi come l'avarizia, la superbia, la gola, la fellonia e delle seccature recate dall'amore e dalle donne.

Lo Splanamento de li proverbi de Salomone , che appunto mete al centro la figura stessa della saggezza, quella del re biblico esaltato da tutta la cultura medievale, è una raccolta di ammaestramenti morali desunti dalla Bibbia e dalla letteratura latina, tra i quali non mancano quelli sul dovere di guardarsi dalle femmine.

Contemporanea, e forse di qualche tempo anteriore, anche se pressoché nulla di certo si sa sull'autore, è l'opera di Uguccione da Lodi, il Libro : si tratta di lasse monorime tipiche dell'epica francese, ma coi temi edificanti sostituiti a quelli avventurosi, preghiere e invocazioni, esempi di virtù e di vizio punito, minaccia delle pene infernali.

Ben a ragione, in tutta questa letteratura, i riferimento all'inferno sono frequentissimi, per la diretta presa di questo argomento sul pubblico popolare e la possibilità di ottenere attraverso la paura un comportamento più conforme ai precetti cristiani

E. Gioanola, La letteratura italiana, Librex 1985

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