Tomaso di Sasso, D'amoroso paese

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D'amoroso paese
sospiri e dolzi planti m'à mandato
Amor, che m'à donato - a donna amare;
mai senza sospirare
Amore me no lascia solo un'ura.
Deo, che folle natura - ello m'aprese!
ch'io non saccio altro fare,
se non penzare; - e quanto più mi sforzo,
allora meno pozo - avere abenti;
e uscito m'è di menti
già lungiamenti - ogn'altro penzamento,
e s'io veglio o dormento - sent'amore.
Amore sento tanto,
donna, ch'io altro [ che penzar ] non faccio;
son divenuto paccio - troppo amando.
Moro considerando
che sia l'amore che tanto m'allaccia:
non trovo chi lo saccia, - ond'io mi scanto;
chè vicino di morte
crudel' e forte - mal che non à nomo,
che mai non lo pote omo - ben guerire.
Dunque pur vorria dire
come sentire - amor mi fa tormento,
forse per mio lamento - lo mi lascia.
Amor mi face umano
umile, curucioso, sollazante,
e per mia voglia amante - amor negando.
E medica piagando
Amore, che nel mare tempestoso
navica vigoroso, - e ne lo chiano
teme [la] tempestate.
Folli, sacciate: - finchè l'amadore
disia, vive 'n dolore; - e poi che tene,
credendos' aver bene,
dàgli Amor pene; - sperando d'aver gioia,
la gelosia è la noia - che l'as[s]ale.
Amor mi fa fellone
e leale, sfacciato e vergognoso;
quanto più son doglioso, - alegro paro,
e non posso esser varo:
da poi che cristallo aven la neve,
squagliare mai non deve - per ragione.
Così eo che no rifino,
son poco mino - divenuto a muru:
aigua per gran dimuru - torna sale.
Cotal doglia mortale,
gravoso male, - da meve stesso è nato,
che non aio nullo lato - che non ami.
Poi ch'i' sì lungiamente
agio amato, già mai non rifinai,
tardi mi risvegliai - a disamare,
chè non si può astutare
così sanza fatica uno gran foco;
ma consuma lo foco? - per neiente.
Dunque, como faragio?
Bene ameragio; - ma saver vor[r]ia
che fera segnoria - mi face amare;
chè gran follia mi pare
omo inorare - a sì folle segnore,
c'a lo suo servidore - non si mostra.