Maestro Francesco di Firenze, De le grevi doglie e pene

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De le grevi doglie e pene
ch'io pato per voi, avenente,
la speranza mi mantene
e fami esser soferente.
Per penare spero posa,
com' pigliar lo prun pungente
per cogliere poi la rosa.
Di tut[t]e pene m'apago
sperando merzé trovaré,
e già d'amor non ismago
per troppo vostro orgogliare:
ch'eo veo mante fïate
l'aira turbata tornare
tostamente in claritate.
Tràmi vostra gran bellezza
ad amarvi oltre misura;
vostro orgoglio né durezza
già d'amar non mi spaura:
ch'eo starò soferidore,
ché più ['n]d' ha e divien, se dura,
chi combatte, vincitore.
Vedut' ho, per contastare
al vento, perc' ha potenza,
pender l'albore e fiac[c]are
e cader sanza difenza.
La vetrice che s'inchina
mostra all'uom che soferenza
è d'orgoglio medicina.
Donna, chero pïetate,
ch'io languisco ogne stagione:
sono in vostra potestate
d'aver morte e guerigione.
Non fate come truanno,
ch'al senir truova cagione
per uc[c]iderlo ad inganno.
Non mi fate stare in foco
s'Amor m'ha di voi sorpreso,
ché sapete che val poco
chi ofende all'om ch'è preso.
Fate come rege bono,
ch'al suo servo, s'ha ofeso,
sforzasi di dar perdono.