Il Mare Amoroso, Mare Amoroso

Bibliografia


Amor mi' bello, or che sarà di me?
Piacciavi pur ch'io dea morire a torto;
or vi pensate ben se v'è onore
a darmi morte, poi m' avete preso a tradimento
sì com' l'uccellator prende l'uccello,
e sì come si truova diceduto
lo pesce, che, credendo prender l'esca,
ed egli ha preso l'amo in tal maniera,
com' più s'agira per voler campare,
e più s'aferra contra 'l suo volere;
e que' che vuol pigliar l'uccel d'inganno,
veg[g]endol bianco e d'umile sembianza,
si sente sorvenir d'ardente flamma
che gitta quello uccello aprendo 'l becco;
e 'l gorgo, che si lancia per pigliare
la luce de la stella, tanto i piace,
e muore incontenente ch'è sopr'acqua:
così, credendo di voi prender gioia,
mi veg[g]io preso ed ingannato e morto.
Ma poi che m'avete così preso,
piacciavi far di me per cortesia
com' aguglia fa d'uccello, che 'l prende
e no i fa male, anzi 'l si tiene al core istrettamente,
sì come l'unicornio a la pulzella,
cherendovi merzede per pietanza
sì com' lo pellegrin la chere a Deo:
avegna ch'io non v'ag[g]ia fatta offensa,
se non fosse di tanto solamente,
che io v'amo e servo assai più lealmente
che l'asessino al Veglio de la Montagna.
E se non fosse ancora conquistata
la Val d'i Falsamanti di Morgana,
io la conquisterei per Lancialotto:
ché assai vi sono più leale amante
che l'ermellino a la sua bianchezza,
che, anziché voglia entrar nel fango,
si lascia prendere e condure a morte.
Certo, se voi poteste una fiata
veder[e] sì come il lupo cerviere,
che vede oltra li monti chiaramente,
voi vedereste la vostra figura
dipinta e suggellata nel mio core,
e lettere dintorno che diriano in questa guisa:
«Più v'amo, dea, che non faccio Deo,
e son più vostro assai che non son meo».
E questo dico sempre notte e giorno,
sì come il peccatore il paternostro;
quest' è l'ofensa e quest' è la cagione
che mi potreb[b]e porre ch'i' ag[g]ia fatto:
deg[g]io però murire a sì gran torto?
Non credo certo che voi m'aucidiate;
ma mi facete tanto tormentare,
che minor male mi saria la morte.
E già l'avete in parte cominciata,
poi che m'avete fatto inginocchiare
come cammello quando è incarcato;
e di pene m'avete sì soppresso,
che non posso al postutto più portare,
anzi mi vene cader con tutto esso;
e non mi credo mai poter levare
più com' può lo leofante ch'è caduto,
che non si può levar s'altri no'l leva.
Adunque com' farag[g]io, amor mio bello,
se voi non m'aleg[g]iate anzi ch'i' cag[g]ia?
Consiglio prenderag[g]io di follia,
poi ch'ag[g]io messo il senno in ubrianza,
sì com' lo struzzolo che lascia l'uovo,
poi che l'ha fatto, istare entro l'arena;
ch'io voglio far la dritta somiglianza
de l'albero che per troppo incarcare
scavezza e perde foglie e fiori e frutto,
e poi si secca infino a le radici:
così mi voglio d'amoroso afanno
e di pensier carcar tanto ch'i' mora,
poi che voi non mi fate se non male.
E non saccio per che cagion si sia:
che se vi spiace ch'io vi deg[g]ia amare,
gittate via la vostra gran beltade,
che mi fa forsenar, quando vi miro,
sì come il parpaglion che fere al foco
veg[g]endo il gran splendor de la lumiera;
e la valenza, laove sta il meo core
in foco disioso notte e dia,
tanto che mi par esser salamandra.
E se no'l fate, non me'n rimarrag[g]io,
avegnamene ciò che può avenire:
ch'io penso, se Narcisso fosse vivo,
sì 'ntendereb[b]e in voi, a mia credenza,
e non in sé medesmo come fece.
Ché li cavelli vostri son più biondi
che fila d'auro o che fior d'aulentino,
e son le funi che·m tegnon 'lacciato;
igli occhi, belli come di girfalco,
ma son di bavalischio, per sembianza,
che saetta il veleno collo sguardo;
i cigli bruni e sottili avolti in forma d'arco
mi saettano al cor d'una saetta;
la bocca, piccioletta e colorita,
vermiglia come rosa di giardino,
piagente ed amorosa per basciare.
E be·llo saccio, ch'i' l'ag[g]io provato
una fiata, vostra gran merzede;
ma quella mi fu lancia di Pelùs,
ch'avea tal vertù nel suo ferire,
ch'al primo colpo dava pene e morte,
e al secondo vita ed allegrezza
così mi die' quel bascio mal di morte,
ma se n'avesse un altro, ben guerira.
Il vostro riso mi fa più di bene
che s'io passasse oltre la Cors di riso;
e 'l bel cantare m'ha conquiso e morto
a simiglianza de la serenella
che uccide 'l marinar col suo bel canto.
E lo parlar, tuttora anzi pensato,
sag[g]io e cortese e franco e vertudioso
sì come ispecchio che non sa mentire,
anzi raporta dritta simiglianza,
mi fa isvegliar di son[n]o doloroso
sì come lo leon lo suo figliuolo.
E 'l color natural bianco e vermiglio,
come la fior di grana flore inversa,
è simil del serpente ch'è fregiato,
che par dipinto per gran maestria,
e muore incontenente chi lui sguarda,
tanto son que' colori tos[s]icosi.
Le vostre braccia mi fanno tal cerchio,
quando voi mi degnaste d'abracciare,
c'assai mi tegno più sicuro e franco
che 'l negromante al cerchio de la spada.
Le man', più belle d'erba palmacristo;
l'unghia, sottili, dritte ed avenanti;
e in forma passate ogne figura
scolpita nella pietra camaina;
e ben parete dea d'amare, e meglio
che la chiarita stella de la dia.
Poi che 'l sole e 'l vento e la piog[g]ia
non può tanto gua[s]tar quel ch'è scoverto,
che non sia più bello assai ch'io non dico,
faccio ragion che sia ben per un cento
più bello assai ciò che 'n voi è celato.
E di valor portate mag[g]ior pregio
che non fa il buon rubin fra l'altre pietre,
e di franchezza più che 'l pesce spada infra li pesci;
e più d'olor portate infra la gente
che non ha la pantera infra le bestie,
e più di grazia non ha il leopardo;
e de la canoscenza siete chiave,
e d'altri reg[g]imenti siete fonte,
sì come il sole è fonte de la luce. Che vale a dire?
A racontare insomma a motto a motto
i vostri adornamenti, fior d'i fiori,
n'avreb[b]e briga Tulio ed Orfeo;
e se fosse natura naturante, cioè Ideo,
non vi fareb[b]e se non come siete dirit[t]amente.
Ch'egli è sentenza de li più intendenti
che la natura non errò in voi alcuna cosa,
anzi pesò colla bilancia dritta
e tolse di ciascun [ de li ] alimenti,
quando vi fece a lo 'ncominci[a]mento,
guardando l'anno, il mese e la semana
e 'l giorno e l'ora, il punto e lo quadrante
del più gentil pianeta, cioè il sole,
che cerca dodici segni ciasc' anno:
cioe l'Agnello e 'l Toro e [li] Gemini
e 'l Gambero e 'l Leone e la Pulzella,
la Libra e [lo] Scarpione e 'l Sagittario
e 'l Capricornio e l'Aquario e li Pesci.
Così mi feste agnello d'umiltade;
toro mi feste a soferir pesanza;
e gemine mi feste una fiata
quando voi m'abracciaste strettamente;
ma gambero mi feste incontenente
quando mi feste tornare a di[ri]etro
di gran sollazzo in gran mala ventura,
usando segnoria di leone.
Alta pulzella, or mi tenete dritta la stadera;
e non mi siate sì com' lo scarpione,
che prima gratta e poi fer de la coda malamente.
Ancor mi siete dritto sagettario,
e sonvi stato come capricornio
umilïando il me' core inver' voi;
e no·m val che voi no·m siate pur aquario,
poi che mi fate stare in pianto amaro
sì come 'l pesce che sta indel gran mare.
Questo mastro pianeta e gli altri sei
han messo in voi tutta la lor possanza
per farvi stella e specchio degli amanti:
ché 'l sol vi die' piagenza e cor gentile,
[la] luna temperanza e umilitade,
Satorno argoglio e alt[e]ri pensamenti,
[e] Giupiter ricchezza e segnoria,
[e] Marti la franchezza e l'arditanza,
[e] Mercurio il gran senno e la scïenza,
Venus benivoglienza e gran beltade.
E bene apare, ché la vostra persona fie nomata
gioia sopra [ogne] gioia d'amirare,
piagenza somma, e 'l cor valenza fina:
perciò in[ver]' voi si trae ciascun core
sì come il ferro inver' la calamita.
Onde i' son sì com'è il camaleone,
che si trasforma e toglie simiglianza
d'ogne color che vede, per temenza:
ch'io triemo più com' fa la foglia al vento,
di gran paura che ag[g]io e di temenza
che voi non mi gittiate [a] noncalere.
Ed ag[g]io di voi mag[g]io gelosia,
veg[g]endo chi vi parla o chi vi mira,
che non ha il pappagallo di bambezza o 'l dalfino.
Ed io vorrei bene, s'esser potesse,
che voi pareste a tutta l'altra gente
sì com' paria la Pulzella Laida.
E se potesse avere una barchetta,
tal com' fu quella che donò Merlino
a la valente donna d'Avalona,
ch'andassi sanza remi e sanza vela
altressì ben per terra com' per aqua;
e io sapessi fare una bevanda
tal chente fu quella che bev[v]e Tristaino e Isotta,
a bere ve'n daria celatamente una fiata
per [far] lo vostro cuor d'una sentenza
e d'un volere col mio intendimento;
e sì vorrïa di quel pome avere
che dona vita pur col suo olore
a una gente via di là da mare,
che non mangian né beono altra vivanda;
poi intrerei con voi in quella barchetta
e mai non finerei d'andar per mare,
infin ch'i' mi vedrei oltre quel braccio
che fie chiamato il braccio di Saufì per tutta gente,
c'ha scritto in su la man: «Nimo ci passi»,
per ciò che di qua mai non torna chi di là passa;
poi mi starei sicur sanza rancura
in gioco ed in sollazzo disïato.
Ma poi ch'i' non mi sento tal natura, che faragio?
sapesse almeno volar sì com' seppe
lo sag[g]io Didalùs anticamente,
e potesse aver de l'erba luccia
che sa sfermar ciascuna fermatura;
e io tenessi in mano l'aritropia,
che fa' ciascun sì che non fia veduto,
ché io faria andatura di paone
che va come ladrone a imbolare,
e coprireï l'orme tuttavia
come leon che cuopre colla coda;
e sì verrei a voi celatamente
di notte, per paura de la gente,
e sì vi conterei i miei martìri
sì dolcemente, stando ginocchione,
se voi non mi sdegnaste d'ascoltare,
a guisa del dragon c'ha nome iaspis,
che d'udir si disdegna chi lo 'ncanta.
Se voi aveste il cuor più duro assai
com' àe lo dïamante per natura,
si dovreb[b]e bene inver' me umiliare
sì com' lo panicano al suo figliuolo,
che, quando l'ha ucciso per c[or]ruccio,
con occhi di pietanza lo [ri]sguarda,
e pensa e vede che gli ha fatto male
e ch'egli ha strutto pur lo suo stesso, onde gli dole,
e fer [de]l becco a lo suo petto tanto
che sangue cade sopra 'l figlio morto,
là 'nd'ei risuscita da morte a vita.
Ma poi ch'i' non posso racontare
le mie gravi pene in questo mondo, che farag[g]io?
Ma deg[g]io pur tacendo consumare,
sì come l'albero c'ha nome ranno,
che face uscir de le sue spine foco
e arde sé medesmo in questo modo?
Certo sì [lo] fare[ï] volontieri
s'i' mi credessi poscia suscitare
come fenice in foco [ . . . ],
e cantarei inanzi la mia morte
sì come il cecer quando déi morire.
Ma poi ch'i' non mi sento di tal natura, che faragio?
torrag[g]io la dittanza de lo 'nchiaro over del cerbio,
che si ritorna inver' li cacciatori per campare,
e se non puote vole anzi morir nelle lor mani
che voglia per fug[g]ir languire inaverato:
così ritorno a voi in aventura
[o] di campare o di morire al tutto.
Ch'i' son venuto a tal come lo 'nfermo
che non sa del viver né del morire,
ma per sapere la certanza dritta
si fa aportar la calandrice inanzi:
e se lo sguarda, sa ch'ei dee campire;
e se non, sa certo ch'ei dee morire,
come colui che fa gittar le sorti in geomanzia,
che si ritruova nella casa rossa.
Così mi siete a dritta simiglianza:
che se mi risguardate dando ispeme,
sarag[g]io certo poi d'uscir di pene
e di venire al ben ch'ag[g]io aspettato,
sì com' lo marinaro vène a porto
guidandosi per l'alta tramontana
(donde eo farag[g]io a guisa d'om salvag[g]io,
che canta e ride istando in grave pene,
pensando che si cangia la ventura
di male in bene e di pianto in sollazzo);
e se non mi sguardate con pietanza,
non porria[nmi] scampar di mala morte
tutti li miglior medici di Salerno in midicina.
E ferò fellonia sì crudele,
che se'n dovria scavezzar lo cielo,
cader le stelle e scurar[e] lo sole,
[e] l'aria dar tempesta e sfolgorare,
vènti rompere e scavezzare e fendere,
divellere gli àlbori e l'erbe,
e 'l mar turbare e venir ter[e]muoti,
e infiammarsi il cuor di tutta gente
e far ve[n]gianza di sì grande torto.
Ché io porria giurar sanza mentire
che si radop[p]ia e cresce il mio volere
in voi amare ed in voi ubidire
sì com' cresce il numer de lo scacchiere,
che tanto cresce che non truova fine.
Ma non fuora dunqua gran malaventura
e smisurato male e gran peccato
se mi uccidete, poi che tanto v'amo?
Il vostro nome, ch'è chiamato dea,
saria mai sempre chiamato Giudea,
a simiglianza di Giuda giudeo
che tradì Gesù Cristo per un bascio.
Or non mi lasci Idio poter vedere
sì doloroso giorno com' quel fora.
Ma se ciò avenisse, che non credo, per sciagura,
s' tu no'l provasse a guisa di Thomàs,
io farei scrivere nella mia tomba
una scritta che direb[b]e così:
«Chi vuole amare, li convien tremare,
bramare, chiamare, sì come 'l marinaio in mare amaro;
e chi no·m crede, mi deg[g]ia mirare per maraviglia,
ché per amor son morto in amarore,
sì com'è morto Nadriano e Caedino;
però si guardi chi s'ha a guardare».