Chiaro Davanzati, Quando lo mar tempesta

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Quando lo mar tempesta,
per natura che gli ène,
de lo suo tempestare gitta l'onda;
e 'n quella guisa alpesta
è spesso, ché grand' ène
la cagione che tempesta gli abonda:
vede l'ond' agitare,
già mai non vede posa,
infin che quella cosa
che lo fa tempestare
non si parte da lui,
perch' è natura i·llui
di così far, quando i giunge quell'ora.
E per natura getta
la tempesta il maroso,
d[ov]unque là ove inchiuder non si pote:
dunque elli in cui lo getta,
fior è ch'è tempestoso
e che gioie per stagion menare pote.
E da ch'è così certo,
bene faria fallanza
chi ponesse fallanza
in ch'io lo metto sper[t]o:
facesse in ciò pur d'una
guisa, com' so, mal sona,
ché mare, com' tempesta, c'onda butta.
Tanto mi par lo dire
ch'ag[g]io fatto, certano,
che di parlare ancora no ridotto
quel che mi fa languire,
ancora che lontano,
m'assai diròllo, come sia condotto.
Ciò natura distina:
si com'ha sua natura
ciascuna crïatura,
ritraie indi gioi' fina;
a quella ch'io avea
traea, da che dovea,
e come pesce per lo mare stava.
Istando più gioioso
ne lo mar d'ogni gioia,
ed un'òra crudele cominciòe
a farlo tempestoso,
pur per me donar noia,
ond'io forte morte tosto n'avròe;
ché per suo tempestare
mi lasciò smisurato:
con un'onda abut[t]ato
lungi m'ha fuor del mare,
e posto in ter[r]a dura
e tratto di natura,
[ come d']onde li pesci, ch'indi han vita.
Ve[g]endo ched io sono,
di star de l'aqua fora,
assai isbat[t]uto, son per ritornare:
tanto sbat[t]uto sono,
[ch]ed ancor non mi fora
per certo dentro mai non [ri]tornare;
ond'è mia vit' a terra
più che non fari' in parte
àlbere che si parte,
quand'è verde, da terra;
ma prego sire Deo,
che ['n] quella guisa ch'eo
moro, chi morir fami morir faccia.