Bacciarone di Messer Baccone, Nova m'è volonta nel cor creata

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Nova m'è volonta nel cor creata,
la qual compresa l'alma e 'l corpo m'have,
volendo proferisca e dica 'l grave
crudele stato ch'è 'n amor fallace.
Però ch'alquanto già fui su' seguace,
vòl che testimonìa rendane dritta,
a la gente veder faccia sconfitta
che seguen lui, com'ell'è denudata
d'onor, di prode e d'alegrezza totta,
e come dal piè veste 'n fin al capo
tutto'l contrar. S'eo ben dir lo sapo,
dironn'un poco, poi no 'l cor mi lascia
e come grave a portar son soi' fascia,
e com' sre' mei', cui ten, tenessel gotta.
Oa dico chi 'l segue com'ei concia,
che, dissconciando loro e i loro e'l loro,
gridan né punto no ne fan mormòro,
ma si rallegran gran com'òr acquistasse.
Parmi di tai son lor le vertù casse,
non più che vis' han d'omo razionale;
poi prenden gioia e del lor cantan male
e dànno laude a chi tanto li sconcia,
cioè Amor, che non stanchi si veno
di coronarlo impero d'ogni bene,
e senza lui non mai nullo pervene,
dicon, a cosa poss'avere onore:
unde cotal discende loro errore
di lassarsi infrenar di sì reo freno.
Non venosi gecchiti di laudare
il folle e vano amor, d'ogni ben nudo,
li matti che si covren del su' scudo,
il qual manch'è che di ragnuolo tela
e che li porta isportando a vela.
Mettonsi 'n mar, creden giunger a porto;
poi che nel pereggio gli have accorto,
alma fa, corpo e aver, tutto affondare.
D'onne, donque, reo male è fondamento.
Poi tutto tolle bono e 'l contrar porge,
come la gente non di lui s'accorge
a prender guardia dei suoi inganni felli,
ch'a Dio li fa ed al mondo ribelli?
Meraviglia grand'è com'ei no è spento.
Tai laudator lor pon far plager reo
di donar pregio ad un cotale Amore,
che tutto trappa bene e dà dolore;
non già me coglieranno a quella setta.
Alcuna fiata fui 'n sua distretta,
non sì disposto, che m'avesse acchiuso
ch'eo non potesse giù gire ne suso,
né suo serv'era, né signor ben meo:
unde m'accorsi del doglioso passo,
ove m'avea condutto e conducìa,
che parenti ed amici avea 'n obbrìa
e quasi Dio venìa dimenticando.
Per che nel tutto gli aggio dato bando,
non più dimorovi né prendo stasso.
Parmi diritta dar possa sentenza
chi servito signor ha in sua magione,
s'è giusto, come comanda ragione;
u, se'l contraro di ciò il disforma,
e chi non dimorato loco forma,
di sua condizion have neiente;
ma tanto com'a voce de la gente,
che mante fiate del vero fa 'ntenza.
Perché d'amor deo saver far saggio,
com omo che del suo sentì tormento,
d'ogne, dico, tristor è munimento;
colpi di toni quasi son soavi
a paraggio dei soi, tanto son gravi
ed empi, non pensar porea 'l coraggio.
Nighettoso fa l'omo il suo defetto
a tutte oneste e profittabil cose,
ed a seguir l'enique ed odiose
prunto, ardito, viziato 'l corregge:
cotal d'Amore è sua malvagia legge!
Ma assai che è da dosso me l'ho spento,
ed in tal guisa, in verità, che pento
lo suo mi turberea veder tragetto.
Non piu triaca mi farà parere
veneno, e fino lo venen triaca,
che d'esto far di neun tempo vaca
ai denudati c'hano in lui gran fede.
Cotal decreto in sua corte possede,
se i suoi, non gran fatt'è, falli cadere.
Al passo ditt'ho che m'addusse forte,
di sua sentendo suggizione spersa,
e dico come femi parer persa
qual aspra più e pungent'era ortica,
e come mi facea parer nemica
cui di nomar mi piace tacer ora,
senza la qual de vita serea fòra,
'brobriosa sofferendo e crudel morte.
Ché là, u' tutta gent'hami fallita,
e più chi di me più mostrava resta,
chi dett'ho, non lassatasi la vesta,
per potersi a la persona dar campo.
per pioggia né per vento ne per lampo
di pensar ciò né far vesi gechita.
Poi me condusse in sì crudele errore,
che mi facea del corpo il cor odiare,
un'uncia non avendo del cantare
di suo gravoso e sprefondato pondo:
or de' ben dirupare 'n nel profondo
chi di tal carco addoss'have la soma
e cui afferrat'ha ben per la chioma
si' certo ch'onni i' tolle c'ha valore.
Miri, miri catuno e ben si guardi
di non in tal sommetersi servaggio,
ch'adduce noi' e spiacer e dannaggio
e tutto quanto dir puosi di male,
che questa vita tolle e l'eternale.
Oh quanto assaporar mei' fora cardi!
O miseri dolenti sciagurati,
o netti d'allegrezza e di piacere,
fonte d'onni tristizia possedere,
o spenti di vertù tutt'e di luce,
ponendo cura bene, o' vi conduce
il vostr'amore, c'ha 'l malvagio conio,
odiar via più l'areste che demonio;
ma non tanto potete, sì v'ha orbati.
Se de la mente gli occhi apriste bene
e lo 'ntelletto non fussevi tolto,
vedreste chiaro il loco 've v'ha 'nvolto,
ch'è tanto laido e disorrato e reo:
non savrest'altro dir che: «Merzé, Deo»
sì doloroso è tutto che i' tene!
Amor (ti chiamo per lo nome, quanto
per l'operare parmi ben so chente),
di che ditt'ho se gravato ti sente,
e vuoi apporre di te vegna gioia,
piacemi farlo sentenziare a Troia,
a cui adosso il tuo affibbiasti manto.