Panuccio dal Bagno, Dolorosa doglienza in dir m'adduce

Altre Opere Bibliografia


Dolorosa doglienza in dir m'adduce,
non potendo celar, tacendo, 'l core:
tanto m'avanza ognor pen' e dolore
che pregio men che nente vita u' regno.
Considerando, lasso!, son ritegno
d'ogni languire, avendo mia vita agra
e di ciascun plager lontana e magra,
avendo di vertù perduta luce.
Poi del mio cor disio metter soffersi
in seguitar, perdendo ragion vera,
e sommettendo arbitro 've non era,
ciò è servaggio di natura umana,
u' non guardai avendo mente sana;
ma or somiso aver non vorea dico,
ché d'allegrezze, di gioi' son mendico,
ritegno di dolor fonte diversi.
Disnaturando natura, seguendo
di sottometter voglia 'altrui 'n servaggio,
che chiar conosco che l'uman lignaggio
d'aver fugge signor naturalmente,
ma diviso da ciò diversamente.
regnando in me avendo gran diletto
d'essere servo di cui son soggetto,
in seguitare affanno sostenendo.
E poi congiunsi mevi a tal desire,
non mai d'intenzion tal fei partenza,
ma misi 'ngegno a ciò e tutta potenza
e d'altro in me poder già non ritenni
che sol servendo u' manco lei non venni,
e che i fosse piager fece mostranza,
siccome quasi me parv' accordanza,
und'alquanto mi fe' gioia sentire.
Dimorando plager tal quasi un'ora,
se più non manto fu, se bene e' membro,
presente a ciò sua vista mevi sembrò
più che dir non poria, crudele e fèra,
e visai la sua voglia ch'era intera
di darmi pene, u' son, sì dolorose
che sostenerle alcun tato gravose
parva in vita serea sua dimora.
Ed avanzando in me più 'l dolor monta
e quasi dico nente ver' ch'io celo
che corpo alcun non credo è sotto 'l celo
che regni 'n vita, un'or vi dimorasse
e che senza dimora noi' fallasse;
ma per penare più vit'ho languendo
e soccorso di scampo non attendo,
poi non d'aver per me mai ben si conta.
Se, com'eo dico, u' più mi stringe pena
di tal cagione, più deggio dolere
poi veggio e sento che nel me' podere
non si riten di ciò che dipart'omo,
cio è ragion da fèra: o lasso! como
ne son diviso e tralassato intero,
e seguitando voler tanto fèro,
quale tuttor seguir mi' alma pena!
Per che mia vita, dico, e più ferale
che d'animale alcun, perché natura
segue, ma pure in me tanto ismisura
che fuggo e lasso lei, seguendo 'l contra.
E d'aver signoria non già fui contra,
somettendoli arbitro e mia franchezza;
unde, più ch'aggio ditto, in me gravezza
di greve pene agiunt'anche ogne male.
Poiché mi sembra e che 'l conosco fallo
perché non, lasso, in ciò, rimedio prendo?
E no m'ofender più ove m'ofendo,
partir mia voglia di tal signoria?
Dico che 'n farlo in me non bo bailia,
poich'a ciò falso plager mi congiunse,
che d'anima e da cor vertù digiunse
e ciascuna potenza senza fallo:
perché 'mpossibil m'è farne partenza,
che'l mio volere a cio è sottoposto,
e di maniera tale son disposto
che d'alcun qualsia bene i' non ho segno:
e conosco a ragion di ciò son degno.
Ma non mi dol però meno 'l tormento
ch'eo doloroso pur languisco e sento
e che porti conven cor di doglienza.
Provato folle, me dico, simiglia
chi segue 'l suo dannaggio e ha 'l pro contra:
e 'n me quel che contat' ho sovra 'ncontra,
perch' alcun sia più ch'eo folle non credo,
poich'eo non presi, allor potea, rimedo,
e di quel ch' ora seguo maggiormente
poi son disposto tanto malamente,
che s'alcuno, comm'i', è gran meraviglia.
Meo cordoglio e lamento, ora te move
e te presenta avante a cui ti mando
e cerne 'l meo dolor tutto nomando,
non voglia contar lui el mio tormento
e di' che sguardi ben s'a ragion sento
e corregga tuo fallo e comendi ove.