Brunetto Latini, Il Tesoretto, XXI

Altre Opere Bibliografia


Così tutto pensoso
un giorno di nascoso
entrai in Mompuslieri,
e con questi pensieri
me n'andai a li frati,
e tutti mie' peccati
contai di motto in motto.
Ahi lasso, che corrotto
feci quand' ebbi inteso
com' io era compreso
di smisurati mali
oltre che criminali!
ch'io pensava tal cosa
che non fosse gravosa,
ched è peccato forte
più quasi che di morte.
Ond' io tutto a scoverto
al frate mi converto
che m'ha penitenziato;
e poi ch'i' son mutato,
ragion è che tu muti,
ché sai che sén tenuti
un poco mondanetti:
però vo' che t'afretti
di gire ai frati santi.
Ma pènsati davanti
se per modo d'orgoglio
enfiaste unque lo scoglio,
sì che 'l tuo Crëatore
non amassi di core
e non fossi ubidenti
a' Suoi comandamenti;
e se ti se' vantato
di ciò c'hai operato
in bene o in follia;
o per ipocresia
mostrave di ben fare
quando volei fallare;
o se tra le persone
vai movendo tencione
di fatto o di minacce,
tanto ch'oltraggio facce;
o se t'insuperbisti
o in greco salisti
per caldo di ricchezza
o per tua gentilezza
o per grandi parenti
o perché da le genti
ti par esser laudato;
o se ti se' sforzato
di parer per le vie
miglior che tu non sie;
o s'hai tenuto a schifo
la gente, o torto 'l grifo,
per tua grammatesia;
o se per leggiadria
ti se' solo seduto
quando non hai veduto
compagno che ti piaccia;
o s'hai mostrato faccia
crucciata per superba,
e la parola acerba,
vedendo altrui fallare,
e te stesso peccare;
o se ti se' vantato
o detto in alcun lato
d'aver ciò che non hai,
o saver che non sai.
Amico, e ben ti membra
se tu per belle membra
o per bel vestimento
hai preso orgogliamento:
queste cose contate
son di superbia nate,
di cui il savio dice
ched è capo e radice
del male e del peccato.
E 'l frate m'ha contato,
sed io ben mi ramento,
che per orgogliamento
fallio l'angel matto
ed Eva ruppe 'l patto,
e la morte d'Abèl
e la torre Babel
e la guerra di Troia:
così convien che muoia
superbia per soperchio
che spezza ogne coperchio.
Amico, or ti provedi,
ché tu conosci e vedi
che d'orgogliose pruove
invidia nasce e muove,
ch'è fuoco de la mente.
Vedi se se' dolente
dell'altrui beninanza;
o s'avesti allegranza
dell'altrui turbamento;
o per tuo trattamento
hai ordinata cosa
che sia altrui gravosa;
e se sotto mantello
hai orlato il cappello
ad alcun tu' vicino
per metterlo al dichino;
o se lo 'ncolpi a torto;
o se tu dài conforto
di male a' suo' guerreri,
e quando se' dirieri
ne parle laido male.
Ben mostri che ti cale
di metterlo in mal nome,
ma tu non pensi come
lo spregio ch'è levato
sì possa esser lavato,
né pur che mai s'amorti
lo blasmo, chi chi 'l porti:
ché tale il mal dire ode
che poi no·llo disode.
Invidia è gran peccato;
e ho scritto trovato
che prima coce e dole
a colui che la vuole.
E certo, chi ben mira,
d'invidia nasce l'ira:
ché, quando tu non puoi
diservire a colui
né metterlo al disotto,
lo cor s'imbrascia tutto
d'ira e di maltalento,
e tutto 'l pensamento
si gira di mal fare
e di villan parlare,
sì che batte e percuote
e fa 'l peggio che puote.
Perciò, amico, penza
se 'n tanta malvoglienza
ver' Cristo ti crucciasti,
o se Lo biastimiasti,
o se battesti padre
od afendesti a madre
o cherico sagrato
o segnore o parlato:
cui l'ira dà di piglio,
perde senno e consiglio.
In ira nasce e posa
accidia nighittosa:
ché, chi non puote in fretta
fornir la sua vendetta
néd afender cui vole,
l'odio fa come suole,
che sempre monta e cresce
né di mente non li esce;
ed è 'n tanto tormento
che non ha pensamento
di neun ben che sia,
ma tanto si disvia
che non sa megliorare
né già ben cominciare;
ma croio e neghittoso
e ver' Dio grorïoso.
Questi non va a messa,
né sa qual che si' essa,
né dicer paternostro
in chiesa né nel chiostro.
Così per mal' usanza
si gitta in disperanza
del peccato c'ha fatto,
ed è sì stolto e matto
che di suo mal non crede
trovare in Dio merzede;
o per falsa cagione
apiglia presenzione,
che 'l mette in mala via
di non creder che sia
per ben né per peccato
omo salv' o dannato;
e dice a tutte l'ore
che già giusto Segnore
no·ll'avrebbe crëato
perch' e' fosse dannato
ed un altro prosciolto.
Questi si scosta molto
da la verace fede:
forse che non s'avede
che 'l Misericordioso,
tutto che sia pietoso,
sentenza per giustizia
intra 'l bene e le vizia,
e dà merito e pene
secondo che s'aviene?
Or pens', amico mio,
se tu al vero Dio
rendesti grazia o grato
del ben che t'ha donato:
ché troppo pecca forte
ed è degno di morte
chi non conosce 'l bene
di là donde li viene.
E guarda s'hai speranza
di trovar perdonanza.
Hai alcun mal commesso?
Se non ne se' confesso,
peccato hai malamente
ver' l'alto Dio potente.
Di negghienza m'avisa
che nasce covitisa:
ché, quand' om per negghienza
non si trova potenza
di fornir sua dispensa,
immantenente pensa
come potesse avere
sì de l'altrui avere
che fornisca suo porto
a diritto ed a torto.
Ma colui c'ha divizia
sì cade in avarizia,
ché l'avere non spende
e già l'altrui non rende,
anz' ha paura forte
ch'anzi che vegna a morte
l'aver gli vegna meno,
e pu·ristringe freno.
Così rapisce e fura,
e dà mala misura
e peso frodolente
e novero fallente;
e non teme peccato
d'anstar suo mercato
né di cometter frode,
anzi 'l si tene i·llode;
di nasconderlo sòle,
e per bianche parole
inganna altrui sovente,
e molto largamente
promette di donare
quando no'l crede fare.
E un altro per impiezza
a la zara s'avezza
e giuoca con inganno,
e per far l'altrui danno
sovente pigna 'l dado,
e non vi guarda guado;
e ben presta a unzino
e mette mal fiorino;
e se perdesse un poco,
ben udiresti loco
biastemiare Dio e' santi
e que' che son davanti.
E un altr' è, che non cura
di Dio e di Natura,
sì doventa usoriere
e in molte maniere
ravolge suo' danari,
che li son molto cari;
non guarda dìe né festa,
né per pasqua non resta,
e non par che li 'ncresca,
pur che moneta cresca.
Altro per semonia
si getta in mala via
e Dio e' santi afende
e vende le profende
e' santi sagramenti,
e mette 'nfra le genti
esempro di malfare;
ma questo lascio stare,
ché tocca a ta' persone,
che non è mia ragione
di dirne lungiamente.
Ma dico apertamente
che l'om ch'è troppo scarso
credo c'ha 'l cor tutt' arso,
ché 'n puovere persone
e 'n on che si' in pregione
non ha nulla pietade:
tutto in inferno cade.
Per iscarsezza sola
vien peccato di gola,
ch'om chiama ghiottornia:
ché, quando l'om si svia
sì che monti i·rrichezza,
la gola sì s'avezza
a le dolce vivande
e far cocine grande
e mangiare anzi l'ora.
E molto ben divora
chi mangia più sovente
che non fa l'altra gente;
e talor mangia tanto
che pur da qualche canto
li duole corpo e fianco,
e stanne lasso e stanco;
e inebrïa di vino,
sì ch'ogne suo vicino
se ne ride d'intorno
e mettelo in iscorno:
ben è tenuto bacco
chi fa del corpo sacco
e mette tanto in epa
che talora ne crepa.
Certo per ghiottornia
s'aparecchia la via
in commetter lusura:
chi mangia a dismisura,
la lussura s'acende,
sì ch'altro non intende
se non a quel peccato,
e cerca d'ogne lato
come possa compiére
quel suo laido volere.
E vecchio che s'impaccia
di così laida taccia,
fa ben doppio peccato
ed è troppo blasmato.
Ben è gran vituperio
commettere avolterio
con donne o con donzelle,
quanto che paian belle;
ma chi 'l fa con parente,
pecca più agramente.
Ma tra questi peccati
son vie più condannati
que' che son soddomiti:
deh, come son periti
que' che contra natura
brigan cotal lusura!
Or vedi, caro amico,
e 'ntende ciò ch'i' dico:
vedi quanti peccati
io t'aggio nominati,
e tutti son mortali;
e sai che ci ha di tali
che ne curiamo poco.
Vedi che non è gioco
di cadere in peccato:
e però da buon lato
consiglio che ti guardi
che 'l mondo non t'imbardi.
Ora a Dio t'acomando,
ch'io non so l'or' né quando
ti debbia ritrovare:
ch'io credo pur andare
la via ch'io m'era messo;
ché ciò che m'e promesso
di veder le sett' arti
ed altre molte parti,
io le vo' pur vedere,
imparar e sapere;
ché, poi che del peccato
mi son penitenzato,
e sonne ben confesso
e prosciolto e dimesso,
io metto poca cura
d'andar a la Ventura.