Brunetto Latini, Il Tesoretto, XV

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Ond' io ritorno ormai
per dir come trovai
le tre a gran dilizia
in casa di Giustizia,
ché son sue descendenti
e nate di parenti.
E io m'andai da canto
e dimora'vi tanto
ched i' vidi Larghezza
mostrare con pianezza
ad un bel cavalero
come nel suo mistero
si dovesse portare.
E dicìe, ciò mi pare:
«Se tu vuol' esser mio,
di tanto t'afid' io,
che nullo tempo mai
di me mal non avrai,
anzi sarai tuttore
in grandezza e in onore,
ché già om per larghezza
non venne in poverezza.
Ver' è ch'assai persone
dicon ch'a mia cagione
hanno l'aver perduto,
e ch'è loro avenuto
perché son larghi stati;
ma troppo sono errati:
ché, como è largo quelli
che par che s'acapilli
per una poca cosa
ove onor grande posa,
e 'n un'altra bruttezza
farà sì gra·larghezza
che fie dismisuranza?
Ma tu sappie 'n certanza
che null' ora che sia
venir non ti poria
la tua ricchezza meno
se ti tieni al mio freno
nel modo ch'io diraggio:
ché quelli è largo e saggio
che spende lo danaro
per salvar l'ogostaro.
Però in ogne lato
ti membri di tu' stato
e spendi allegramente;
e non vo' che sgomente
se più che sia ragione
despendi a le stagione,
anz' è di mio volere
che tu di non vedere
te infinghi a le fïate,
se danari o derrate
ne vanno per onore:
pensa che sia il migliore.
E se cosa adivenga
che spender ti convenga,
guarda che sia intento,
sì che non paie lento:
ché dare tostamente
è donar doppiamente,
e dar come sforzato
perde lo dono e 'l grato;
ché molto più risplende
lo poco, chi lo spende
tosto e a larga mano,
che que' che da lontano
dispende gran ricchezza
e tardi, con durezza.
Ma tuttavia ti guarda
d'una cosa che 'mbarda
la gente più che 'l grado,
cioè gioco di dado:
ché non è di mia parte
chi si gitta in quell'arte,
anz' è disvïamento
e grande struggimento.
Ma tanto dico bene,
se talor ti convene
giocar per far onore
ad amico o a segnore,
che tu giuochi al più grosso,
e non dire: "I' non posso".
Non abbie in ciò vilezza,
ma lieta gagliardezza;
e se tu perdi posta,
paia che non ti costa:
non dicer villania
né mal motto che sia.
Ancor, chi s'abandona
per astio di persona,
e per sua vanagroria
esce de la memoria
a spender malamente,
non m'agrada neente;
e molto m'è rubello
chi dispende in bordello
e va perdendo 'l giorno
in femine d'intorno.
Ma chi di suo bon core
amasse per amore
una donna valente,
se talor largamente
dispendesse o donasse
(non sì che folleggiasse),
be·llo si puote fare,
ma no'l voglio aprovare.
E tegno grande scherna
chi dispende in taverna;
e chi in ghiottornia
si getta, o in beveria,
è peggio che omo morto
e 'l suo distrugge a torto.
E ho visto persone
ch'a comperar capone,
pernice e grosso pesce,
lo spender no·lli 'ncresce:
ché, come vol sien cari,
pur trovansi i danari,
sì pagan mantenente,
e credon che la gente
lili ponga i·llarghezza;
ma ben è gran vilezza
ingolar tanta cosa
che già fare non osa
conviti né presenti,
ma colli propî denti
mangia e divora tutto:
ecco costume brutto!
Mad io, s'i' m'avedesse
ch'egli altro ben facesse,
unqua di ben mangiare
no·llo dovrei blasmare:
ma chi 'l nasconde e fugge
e consuma e distrugge,
solo che ben si pasce,
certo in mal punto nasce.
Hacci gente di corte
che sono use ed acorte
a sollazzar la gente,
ma domandan sovente
danari e vestimenti:
certo, se tu ti senti
lo poder di donare,
ben déi corteseggiare,
guardando d'ogne lato
di ciascun lo suo stato;
ma già non ublïare,
se tu puoi megliorare
lo dono in altro loco,
non ti vinca per gioco
lusinga di buffone:
guarda loco e stagione.
Ancora abbi paura
d'improntare a usura;
ma se ti pur convene
aver per spender bene,
prego che rende ivaccio,
ché non è bel procaccio
né piacevol convento
di diece render cento:
già d'usura che dài
nulla grazia non hai;
né 'n ciò non ha larghezza,
ma tua gran pigrezza.
Ben forte mi dispiace
e gran noia mi face
donzello e cavalero
che, quando un forestero
passa per la contrada,
non lascia che non vada
a farli compagnia
in casa e per la via,
e gran cose promette,
ma altro non vi mette:
così ten questa mena;
e chi lo 'nvita a cena,
terrebbe ben lo 'nvito;
non farebbe convito,
servigio né presente.
Ma sai che m'è piagente?
quando vene un forese,
di farli ben le spese
secondo che s'aviene:
ché presentar ritiene
amore ed onoranza,
compagnia ed usanza.
E sai ch'io molto lodo?
che tu a ogne modo
abbi di belli arnesi
e privati e palesi,
sì che 'n casa e di fore
si paia 'l tuo onore.
E se tu fai convito
o corredo bandito,
fa'l provedutamente,
che non falli neente:
di tutto inanzi pensa;
e quando siedi a mensa,
non far un laido piglio,
non chiamare a consiglio
sescalco né sergente,
ché da tutta la gente
sarai scarso tenuto
e non ben proveduto.
Omai t'ho detto assai:
perciò ti partirai,
e dritto per la via
ne va' a Cortesia,
e prega da mia parte
che ti mostri su' arte,
ché già non veggo lume
sanza 'l su' bon costume».