Brunetto Latini, Il Tesoretto, II

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Lo Tesoro comenza.
Al tempo che Fiorenza
froria, e fece frutto,
sì ch'ell'era del tutto
la donna di Toscana
(ancora che lontana
ne fosse l'una parte,
rimossa in altra parte,
quella d'i ghibellini,
per guerra d'i vicini),
esso Comune saggio
mi fece suo messaggio
all'alto re di Spagna,
ch'or è re de la Magna
e la corona atende,
se Dio no·llil contende:
ché già sotto la luna
non si truova persona
che, per gentil legnaggio
né per altro barnaggio,
tanto degno ne fosse
com' esto re Nanfosse.
E io presi campagna
e andai in Ispagna
e feci l'ambasciata
che mi fue ordinata;
e poi sanza soggiorno
ripresi mio ritorno,
tanto che nel paese
di terra navarrese,
venendo per la calle
del pian di Runcisvalle,
incontrai uno scolaio
su 'n un muletto vaio,
che venia da Bologna,
e sanza dir menzogna
molt' era savio e prode:
ma lascio star le lode,
che sarebbono assai.
Io lo pur dimandai
novelle di Toscana
in dolce lingua e piana;
ed e' cortesemente
mi disee immantenente
che guelfi di Firenza
per mala provedenza
e per forza di guerra
eran fuor de la terra,
e 'l dannaggio era forte
di pregioni e di morte.
Ed io, ponendo cura,
tornai a la natura
ch'audivi dir che tene
ogn'om ch'al mondo vene:
nasce prim[er]amente
al padre e a' parenti,
e poi al suo Comuno;
ond' io non so nessuno
ch'io volesse vedere
la mia cittade avere
del tutto a la sua guisa,
né che fosse in divisa;
ma tutti per comune
tirassero una fune
di pace e di benfare,
ché già non può scampare
terra rotta di parte.
Certo lo cor mi parte
di cotanto dolore,
pensando il grande onore
e la ricca potenza
che suole aver Fiorenza
quasi nel mondo tutto;
e io, in tal corrotto
pensando a capo chino,
perdei il gran cammino,
e tenni a la traversa
d'una selva diversa.